Come imparare a dare un buon sapore ai cibi
In un blog dedicato alla cucina, e soprattutto alla scoperta delle ricette di diverse tradizioni, è importante fermarsi un istante e vedere se abbiamo imparato una delle lezioni di base dell’arte culinaria: come fare in modo che i cibi da noi preparati abbiano un buon sapore.
I nostri sensi e la percezione di gusti e profumi nei cibi
Ciò che dà interesse al cibo è la combinazione di sensazioni a volte piuttosto diverse, che ci arrivano attraverso il gusto (i ricettori del gusto, chiamati popolarmente “papille gustative”, sono soprattutto sulla lingua e in parte sul palato e altri punti della cavità orale), attraverso l’olfatto (i ricettori olfattivi si trovano nella cavità nasale) e attraverso il tatto (tutte le gamme del piccante, che provoca sensazioni di bruciore, e del mentolato, che provoca sensazioni di raffreddamento, non agiscono attraverso i ricettori del gusto, bensì attraverso i ricettori del caldo... ed ecco perché sentiamo queste sensazioni anche attraverso la pelle). La vista può accompagnare a volte gli altri sensi, soprattutto con le percezioni del colore, che si associano ai gusti e ad altre caratteristiche dei cibi (pensiamo alla nostra percezione di quanto un cibo sia fresco, impressione che spesso ci giunge semplicemente guardandolo). Tra i nostri sensi, l’udito è forse il meno significativo come complemento al sapore dei cibi. Può essere estremamente importante in fase di cucina (per non fare che un solo esempio, sentire lo sfrigolio di una verdura in padella ci segnala che sta saltando in modo corretto, e non sta bollendo nella propria acqua interna), ma al momento di mangiare, possiamo riservarlo ad ascoltare le conversazioni con i nostri commensali.
Dati di base sui gusti
Il nostro senso del gusto dipende dalla percezione in sinergia di diversi gusti di base. Fino al XX secolo, si elencavano quattro gusti di base: amaro, aspro (o acido), dolce e salato. Nel 1908 il biologo Kikunae Ikeda isolò un quinto gusto di base a cui diede il nome giapponese di umami (“saporito”, o sapido), talvolta confuso con il salato a causa della presenza di sodio nei suoi elementi principali (cloruro di sodio per il salato, e glutammato di sodio – una proteina – per l’umami), ma dotato di caratteristiche proprie.
Può essere utile identificare le aree particolari dei ricettori dei vari gusti sulla lingua:
Ricordiamoci, comunque, che la percezione dei gusti di base non agisce separata, ma produce sensazioni che si compenetrano e si sostengono a vicenda. Per questo, uno dei principali “trucchi” di una buona cucina è quello di aiutare i gusti a trovare una giusta armonia. Se un cibo ha un sapore scialbo, uno o più di questi gusti è carente o assente. Se un cibo ha un sapore stridente, uno o più di questi gusti (o qualche sensazione collaterale, come il piccante) è presente in maniera esagerata, e/o sbilanciato con qualcuno degli altri gusti. Qui di seguito passeremo in rassegna i gusti di base, studiando le loro caratteristiche, e avremo delle basi per tentare a nostra volta l’armonizzazione del sapore dei cibi.
Anche il naso vuole la sua parte
Un contributo importantissimo alla percezione del gusto viene dall’olfatto. Chiunque può rendersene conto assaggiando un cibo, e poi assaggiandolo di nuovo mentre si tiene turato il naso. Dobbiamo ricordare perciò che il naso coglie nei cibi sottigliezze che i ricettori del gusto localizzati nella bocca non riescono a distinguere. Anche la mera gamma dei profumi che noi possiamo sperimentare (molte migliaia) rispetto ai pochi gusti di base dovrebbe farci capire l’importanza dell’olfatto in cucina. Se non distinguessimo il profumo dei cibi, per esempio, frutti agrodolci come i lamponi, il mango, l’uva e le pesche ci potrebbero sembrare praticamente uguali, una volta frullati alla medesima consistenza. La componente olfattiva rende ogni sapore unico in una gamma enorme di esperienze di sapori.
Un buon modo per iniziare ad addestrare l’olfatto è fermarsi regolarmente ad annusare il proprio cibo prima di mangiarlo. Se lo si fa da una posizione leggermente al di sopra del cibo, si coglie il pieno impatto della diffusione degli odori. Tenere la bocca leggermente aperta attiva anche l’aiuto delle vie retro-nasali in questo processo.
Se abbiamo problemi di olfatto (rinite cronica, sinusite, etc.), siamo nei guai! Questi possono essere i peggiori problemi di salute per quanto riguarda l’apprezzamento dei sapori.
Educazione all’uso del sale
Incominciamo dall’elemento di base, che tutti conoscono, di cui alcuni abusano, che molti temono in modo poco saggio, e che è indispensabile conoscere bene per una corretta educazione ai sapori: il sale. Spesso chi a casa si vanta di non salare i cibi in cucina, poi non ha problemi a riconoscere che il cibo del ristorante ha un sapore migliore, e quando va a verificare il perché, scopre quasi sempre che il fattore che fa la differenza è la salatura in cottura.
Come primo passo, dobbiamo sgombrare la nostra strada da una serie di pregiudizi: “il sale fa male, è un veleno, e dobbiamo ridurlo o meglio eliminarlo del tutto”. Come tutte le affermazioni parzialmente vere, occorre decostruire questi dati e capirli più a fondo. I problemi relativi al sale sono in realtà relativi al sodio, che è effettivamente presente in modo abnorme nella nostra dieta, facendoci eccedere le quantità massime tollerabili, ed esponendoci a rischi cardio-vascolari.
Osserviamo questa tabella relativa al nostro consumo di sodio (attenzione: di sodio, non di sale: è importante fare la distinzione, perché i valori includono anche il nostro consumo di prodotti a base di sodio, per esempio gli insaporitori per alimenti che contengono glutammato):
Appena un decimo del sodio che assumiamo è contenuto negli alimenti allo stato naturale (non trattato); questa quantità è perfettamente assimilabile dal nostro organismo, e benefica per il ricambio fisiologico dei sali minerali; come si vede, molto più sodio lo aggiungiamo noi in cottura o a tavola (quando usiamo una saliera, o aggiungiamo alcuni tipi di insaporitori come i dadi da brodo). Oltre la metà di questo sodio, invece, è contenuta negli alimenti prodotti dall’industria alimentare, o per fini di conservazione o per invogliarci a mangiare di più (o nel caso del sale, anche a bere di più).
Andiamo invece a vedere più nello specifico il nostro consumo di sale, e vediamo che le percentuali sono ancora più nettamente diversificate: 12% allo stato naturale, 5% aggiunto in cottura, 6% aggiunto a tavola, e ben 75% (tre quarti del totale del sale da noi ingerito!) proveniente dai prodotti preparati, tra cui il pane, la pasta per pizze, i formaggi, i dolci confezionati e così via. Quest’ultima quantità di sale, che prende il nome di sale nascosto, non è gestibile da noi (proprio come quel sale già contenuto in natura), se non con il rifiuto di consumare gli alimenti che sono stati preparati con tutta questa quantità di sale.
Il sale nascosto è il vero problema per gli eccessi di sodio nella nostra dieta. Dato che non possiamo agire su di esso (a meno di non privarci di una serie di cibi già preparati che vorremmo mangiare), molti pensano di eliminare il sale dalla cucina, illudendosi di vivere una vita più sana. Il risultato è una cucina scialba e poco appetitosa... che per reazione ci fa correre ancor più a cercare cibi preparati e artificialmente imbottiti di sale. Per questo, una buona linea di guida generale è di non fare economia con il sale in cottura, usandolo preferibilmente su alimenti freschi, eventualmente riducendo il volume del sale aggiunto in tavola da una saliera, e controllando invece il più possibile i consumi dei prodotti pieni di sale nascosto. In tal modo avremo cibi ricchi di sapore, che non ci invoglieranno a cercare sapori ancor più forti nei cibi addizionati di sale dall’industria alimentare.
Il gusto salato e il suo ruolo in cucina
Generalmente, il salato non è un gusto che amiamo sentire isolato. Le eccezioni sono veramente poche: per esempio, amiamo sentire i granelli di sale sui pop corn non perché ci piaccia provare piccole punte di salato, ma perché il sale “camuffa” la basilare assenza di sapore del chicco soffiato.
In cucina, il salato ci serve per esaltare il sapore dei cibi. Per fare un paragone, quando saliamo un cibo che prima era senza sale creiamo la stessa reazione di quando mostriamo a colori un’immagine che prima era in bianco e nero.
Quante volte vediamo in una ricetta l’istruzione “aggiungete sale secondo i gusti”, e non sappiamo quanto aggiungere? Ebbene, questo è dovuto al fatto che la salatura non è una reazione chimica precisa, per la quale una volta conosciute le dosi dobbiamo solo applicarle, e il gioco è fatto. La salatura è un processo di inseguimento di un livello ideale, un po’ come quei missili che cercano il loro bersaglio e cambiano traiettoria a seconda degli spostamenti del bersaglio. Ecco perché non è possibile dare un dosaggio standard, ma ci si deve incamminare su una strada empirica: “assaggiare, salare, assaggiare, salare...”
Se proprio vogliamo essere pignoli, possiamo indicare una tendenza umana ad arrivare a un livello di sale dello 0,5% (un duecentesimo) sul peso del cibo da cucinare, mentre le salature “pesanti” (come l’acqua della pasta) arrivano fino all’1%. Purtroppo, anche questi livelli di generalizzazione non ci aiutano granché, per cui il miglior metodo resta sempre quello dell’aggiustare la salatura attraverso aggiunte successive, senza dimenticare gli assaggi preliminari e intermedi.
Una delle ragioni per salare e assaggiare a piccole dosi successive è che si può giungere al livello ottimale di sapore, senza andare troppo oltre. Se si sala troppo poco, si può sempre aggiungere sale; se si sala troppo non si può togliere il sale di cottura, e a meno di non avere un cibo che si può diluire, come le zuppe, si è giunti a un punto di non ritorno. Ci sono alcuni trucchi – come l’aggiunta di succo di limone, o di olio, oppure di latte o panna – per contrastare l’eccesso di sale, ma in tal modo si finisce per alterare il piatto.
Per usare al meglio il sale, possiamo seguire questi accorgimenti:
• Non dovremmo mai salare un cibo prima di assaggiarlo. Assaggiare prima non solo ci mette al riparo da eventuali errori, ma ci aiuta a fare un paragone tra il gusto del cibo nelle due fasi successive del processo di salatura. Se vogliamo proprio essere attenti e fini, dovremmo iniziare assaggiando ogni cibo a crudo (oppure appena uscito da un barattolo o nella fase iniziale di preparazione), prima di qualunque processo di salatura. Solo con questi assaggi potremo sviluppare una “memoria gustativa” che ci darà confidenza con la salatura.
• Nei cibi con il sale aggiunto in cottura, non si sente il salato (a meno che non si raggiunga il punto di saturazione). Nei cibi in cui il sale è aggiunto a freddo, si sente il salato, perché il sale non ha avuto tempo di dissolversi e di legarsi con i gusti presenti nel cibo. Ecco perché la salatura durante la cottura è particolarmente importante.
• La salatura fatta all’inizio di una cottura produrrà un effetto più profondo di esaltazione del sapore, a causa del tempo di interazione tra il sale e il cibo. La salatura fatta verso la fine della cottura produrrà invece un effetto più pungente. Aggiungendo il sale all’inizio e poi alla fine, si potranno notare entrambi questi effetti.
• Se un piatto ha già un buon sapore, non è detto che un’aggiunta di sale in cottura lo rovini! Anzi, spesso una leggera aggiunta di sale può cambiarne il sapore, amplificandolo e rendendolo non più salato ma più vivo e vibrante. È necessario fare qualche prova, magari isolando una piccola parte del cibo: se questa assume un miglior sapore, allora tutto andrà bene aggiustando di sale anche il resto.
• Sarebbe importante non solo assaggiare il cibo, ma anche l’acqua e i grassi in cui si cuoce il cibo, per essere sicuri di arrivare al livello giusto.
• La saturazione del gusto può creare dei problemi se si fanno molti assaggi successivi. I ricettori del gusto, quando sono attivati più volte in un breve tempo, diventano meno sensibili, e per riattivarli è bene fare una pausa e bere un po’ d’acqua, o idealmente allontanarsi dalla cucina per 5 minuti. Se questo non è possibile, si può far assaggiare il cibo a un’altra persona, tenendo presente che diverse persone possono avere diverse sensibilità. Così come fanno gli assaggiatori di vini, anche chi assaggia per verificare il livello di sale può optare di sputare ciò che ha assaggiato: può apparire una soluzione grossolana, ma aiuta a mantenere un livello di attenzione al cibo (...e anche la linea!).
• Anche se può non sembrare così scontato, il sale riduce l’amaro dei cibi (questo effetto si vede in modo eclatante nelle melanzane, da cui il sale estrae il succo amaro, ma si applica a tutti i cibi amari in generale) mentre al contrario esalta il dolce: per questo, suddividere i cibi in “salati” e “dolci” è senza senso dal punto di vista della scienza dei sapori.
• Qualsiasi tipo di sale può andar bene nelle cotture, anche se i cuochi più fini preferiscono evitare il più comune sale da cucina, che non è ideale per essere preso a pizzichi (e pertanto non si controlla bene nelle aggiunte), e ha un contenuto di sodio più elevato rispetto agli altri tipi. Il sale iodato può essere una buona scelta per chi mangia pochi cibi di mare (incluse le alghe) nella dieta, ma bisogna fare attenzione a non darne a chi soffre di iper-tiroidismo. Per queste persone bisogna eliminare del tutto il sale iodato, e ancor meglio sostituire il sale marino con altri tipi di sale privi di iodio (come il salgemma dalle miniere di montagna).
• In cucina non dovremmo usare le saliere, e se non facciamo cucina per numeri ingenti di persone, non dovremmo neppure aggiungere il sale per mezzo di cucchiai o cucchiaini. L’aggiunta ideale si fa a pizzichi, prendendo il sale da una ciotola o da un barattolo abbastanza grande da tuffarci le dita. Salare da una certa altezza (con la mano a un paio di palmi al di sopra del cibo da salare) aiuta a distribuire il sale con una maggiore uniformità, oltre a far acquisire una certa confidenza con il processo di salatura, perché si vede meglio il quantitativo di sale che si aggiunge.
• Non dimentichiamo di aggiungere sale alle insalate (lo dice il nome stesso!), soprattutto se usiamo salse fatte in casa. Avremo un controllo più preciso se aggiungiamo il sale alle verdure, invece che alle salse.
• Se si prepara un ripieno per torte salate, dove il sale potrebbe indurire le croste nella cottura al forno, è preferibile aggiungere un po’ più di sale al ripieno invece che alla pasta.
• Con certi cibi, la salatura è un’arte. Per esempio, gli asparagi perdono il loro colore se cotti in acqua salata, ma se li cuciniamo senza sale aggiungendo quest’ultimo alla fine, il sale prenderà il sopravvento. Anche per cuochi professionisti, è una battaglia costante per ottenere il risultato desiderato.
• L’unica ragione per ridurre il sale in cottura è quando certi ingredienti sono già salati, sia per natura (come la maggior parte dei formaggi) sia per fini di conservazione (acciughe, capperi e olive in salamoia, etc). Inoltre, se la ricetta comporta una certa riduzione del volume (per esempio, un brodo che si restringe), bisogna prevedere che il sale sarà tanto più potente quanto più il cibo si è ridotto. Per i cibi che riducono molto il loro volume in cottura (pensiamo agli spinaci e alle bietole) sarà meglio rimandare gli aggiustamenti di sale alla fase finale della cottura.
• L’aggiunta di olio di oliva (se il piatto lo consente) può coprire un eccesso di sale soprattutto se questo eccesso si trova nelle aggiunte (salse di pomodoro, formaggi). Questo accade sia per l’aroma piuttosto forte dell’olio d’oliva, sia perché l’olio (in cui il sale non si scioglie) crea una sorta di barriera protettiva impedendoci di sentire il pieno effetto del sale. Tuttavia, se siamo arrivati a questo punto, il problema principale sul quale dovremo lavorare è evitare in futuro di esagerare con la salatura.
• In tavola, teniamo conto che le percezioni umane sono differenti: chi mangia raramente cibi salati sarà più sensibile di chi li mangia sempre, i giovani tendono a essere più sensibili ai gusti rispetto agli anziani, e così via, senza contare le preferenze personali. Pertanto, lasciamo una saliera in tavola per gli ospiti che non saranno contenti dei nostri “perfetti” livelli di salatura.
Sale e pepe
Parleremo più a fondo del pepe quando analizzeremo il tema del piccante, ma ricordiamo per ora che la tradizione culinaria europea vuole che il processo di salatura sia accompagnato dal pepe (ovviamente, in dosi minori a quelle del sale). La “cristallizzazione” del binomio sale e pepe può essere stata generata dagli effetti sulla cucina francese dei gusti molto selettivi di Luigi XIV, che non tollerava altro che sale, pepe e prezzemolo sulla sua mensa. Perciò, anche se ora possiamo avere a disposizione centinaia di spezie, dovremo fare attenzione al fatto che moltissime delle nostre ricette richiedono sale e pepe, e dobbiamo fare attenzione a conoscere bene il pepe prima di considerarne le varianti. L’olio essenziale che dà il piccante al pepe, la piperina, è altamente idrosolubile (ovvero, solubile in acqua), e pertanto si sposa bene con una gran quantità di preparazioni, rendendo il pepe una buona scelta di spezia per uso generale. Molti pensano di sostituire il pepe con il peperoncino, che tra le altre spezie è una delle più diffuse e disponibili. Questo può essere pericoloso in un piatto privo di ingredienti grassi, perché il principio piccante del peperoncino, la capsicina, è invece liposolubile (ovvero, solubile nei grassi): un cibo magro che si complementa bene con il pepe può diventare stridente con il peperoncino, perché manca dei grassi che possono rendere il peperoncino meno potente.
Come base per il condimento con sale e pepe, è raccomandabile il pepe nero (le altre varietà presentano problemi che vedremo in seguito), aggiunto per mezzo di un macinino manuale, perché il pepe già macinato perde presto la sua fragranza. In mancanza di un macinino professionale in legno e metallo possiamo usare una delle bottiglie con macinino incorporato che talvolta si vendono nei supermercati.
Il gusto acido (o aspro)
Accanto alla salatura, l’acidità è probabilmente la parte più importante del condimento: ha la capacità di “tagliare” attraverso i gusti ricchi e dolci, ravvivando ingredienti altrimenti insignificanti e dona una nuova qualità ai sapori rinfrescando il palato. Inoltre, riduce la quantità di sale necessaria a esaltare il sapore del cibo.
Una piccola aggiunta di acido può fare miracoli nel trasformare una pasta stucchevole, una verdura priva d’interesse o un dolce melenso. Limone, lime e vari tipi di aceto sono tra le scelte più comuni: dei primi due si può anche usare la buccia grattata, per aggiungere una nota di amaro e un’intensa serie di profumi.
Possiamo aggiungere una spruzzata di limone o lime a quasi ogni piatto, prima di servirlo (non in cottura, perché le temperature alte distruggono l’effetto acido – oltre alla vitamina C – del succo). Nel pesce l’acido del limone o del lime trasforma le ammine (molecole simili all’ammoniaca che si formano con il disfacimento dei tessuti, e danno il noto “odore di pesce” che marca i prodotti ittici non più freschissimi) in sali di ammine inodori, riducendo un impatto negativo sul sapore. Ma i benefici della spruzzata di succo non sono solo nel campo del sapore: i cibi fritti, per esempio, sono resi più digeribili. Sull’avocado (e nel guacamole) la spruzzata di lime aiuta a non ossidare la polpa, che rimane verde-gialla e non si annerisce.
Anche l’aceto, aggiunto con giudizio, può migliorare varie ricette come sughi e salse.
Altre fonti di acidità sono i pomodori, i semi di senape, la polvere di sommacco, il mango verde, il tamarindo, il basilico cinese (shiso) e molte bacche e frutti di bosco come il ribes, oltre naturalmente a un’infinita gamma di yogurt e panne acide. L’elemento più basilare dell’acido, così come il sale per il salato, è il cosiddetto “sale acido” (ovvero l’acido citrico), che è inodore, e può essere messo nei cibi in cui desideriamo un’aggiunta d’acido senza alcuna ulteriore nota aromatica.
L’acido bilancia il piccante (quando abbiamo le dita che bruciano per un contatto con il peperoncino, proviamo a passarle nella polpa di un limone!), e un poco di yogurt è perfetto assieme al curry piccante, creando una nuova armonia di sapori. Si sposa bene anche con il dolce, creando le miscele agrodolci apprezzate in tutto il mondo.
Finché non si conoscono gli elementi acidi con competenza, una buona regola generale è muoversi all’interno della cucina di riferimento, senza improvvisare troppo sui tipi e le quantità degli acidi. Il limone ha una gamma molto ampia di usi, ma sarà meglio che aspettiamo a sostituirlo con il lime (a meno che non seguiamo ricette della cucina messicana, peruviana o thailandese che già lo usano come base acida) prima di avere acquisito dimestichezza con entrambi i frutti. Allo stesso modo, iniziamo a sperimentare l’aceto al dragoncello con i piatti della cucina francese e il tamarindo con quelli della cucina indiana: eviteremo spiacevoli sorprese.
La chiave all’uso saggio dell’acidità è sapere quale elemento aggiungere, e quanto. Piccole quantità di succo si integrano bene con la maggior parte dei piatti, mentre le scorze acide hanno un aroma più intenso. Usata in cucina in modo saggio, l’acidità dovrebbe essere solo un fattore di supporto, usato per far risaltare gli ingredienti principali.
Il gusto amaro
L’amaro è il gusto che ci desta maggiore attenzione, e allo stesso tempo il fanalino di coda delle nostre preferenze alimentari (e questa è la ragione per cui è tanto difficile educare i bambini ad apprezzare verdure dal fondo amaro come i broccoli). Le ragioni di questa diffidenza possono venire dal fatto che l’amaro è spesso associato a cibi non commestibili o addirittura velenosi (pensiamo alla maggior parte delle erbe e delle foglie), e quindi l’amaro funziona nella nostra mente come “segnale d’allarme” che un cibo può essere inadatto a essere ingerito. Tuttavia, l’amaro resta uno dei gusti di base, e imparare ad addestrarlo aggiunge molto alla nostra percezione del sapore.
Anche se troviamo difficile l’idea di aggiungere elementi di amaro ai nostri cibi, dovremmo prendere tale idea in considerazione quando si tratta di bilanciare gusti salati o dolci, o cibi che in generale consideriamo troppo ricchi.
Ci sono molti elementi naturalmente amari: il caffè, il cacao, il succo di pompelmo, la birra, l’acqua tonica (chinino), l’anice, la senape, le olive fresche, la maggior parte degli ortaggi verdi (tra cui spinaci, bietole, broccoli, cavolini di Bruxelles) e delle scorze.
Per rendere più piacevole (o per lo meno più facile) l’esperienza di questi cibi, si può aggiungere del dolce (ecco spiegato l’uso dello zucchero nel caffè e nel tè), del sale (cosa rende gradevole anche per i bambini la zuppa di broccoli di Gordon Ramsay, che abbiamo presentato su questo blog? L’aggiunta di sale in cottura!) o perfino qualcosa di acido. Nel caso delle verdure amare, farle alla griglia toglierà parte dell’amaro. L’aggiunta di yogurt è perfetta per verdure come l’okra.
Se ci sentiamo confusi dalle somiglianze tra amaro e acido, ecco un semplice esercizio per notare le differenze più sottili. Prendiamo un pompelmo, e assaggiamo un poco di polpa: questa è la base acida. Poi assaggiamo un poco di scorza: questa è la base amara. Ripetiamo questo assaggio diverse volte, cercando di notare tutte le differenze.
• Per una perfetta combinazione, usiamo una vinaigrette con componenti dolci, salate e acide per accompagnare insalate contenenti spinaci, cavolo riccio, insalata belga o radicchio.
• I bambini reagiranno meglio alle verdure amare se le saltiamo con un poco di zucchero di canna e/o di aceto balsamico.
Il gusto dolce
Il gusto dolce (che associamo come base allo zucchero, o a quegli elementi altamente zuccherini come miele e melassa) non si limita assolutamente a quei piatti che chiamiamo “i dolci” o i dessert, ma comprende molte sfumature di tutte le nostre ricette. L’associazione nel nostro cervello del dolce con l’energia prodotta dagli zuccheri ci induce a cercarlo quando abbiamo bisogno di un apporto immediato di energia (questo spiega il fascino del dolce sui bambini).
Il dolce è in grado di bilanciare l’acido (producendo l’agrodolce), l’amaro (i due gusti hanno una tendenza a “spegnersi” a vicenda) e in misura minore le sensazioni di piccante e speziato, e può essere usato per armonizzare tutto ciò che eccede in queste direzioni. Per esempio, miele, sciroppo d’acero e marmellata si possono aggiungere alle salse vinaigrette per neutralizzare l’impatto dell’aceto. Il latte di cocco è un complemento ideale ai curry piccanti (essendo anche grasso, ha la capacità di sciogliere la capsicina del peperoncino, contrastandone l’effetto urticante).
Il processo di caramellizzazione (per esempio, nelle cipolle) è in grado di trarre una nota dolce dai cibi. Bisogna fare attenzione alle fasi successive, tuttavia, perché quando dal caramellato (dolce) si passa al bruciato (amaro), c’è un’improvvisa inversione di tendenza.
Troviamo una base dolce nelle carote, nella zucca, nelle patate dolci. Questi sono tutti cibi la cui dolcezza può essere esaltata da qualcosa di salato o di sapido (per esempio, facendoli saltare in padella con pasta di miso, o salse di soia o pesce, o aggiungendo questi elementi alle verdure dolci ridotte in crema). Gli ingredienti dolci possono armonizzare una ricetta con concentrazioni troppo alte di gusto sapido.
Per aggiustare un piatto troppo dolce, è sufficiente aggiungere un poco di acido (un goccio di aceto, una spruzzata di limone); bisogna invece fare attenzione a non cercare di aggiustarlo con il sale, che può aumentare la dolcezza.
Il gusto sapido (umami)
Così come il gusto salato è generato essenzialmente dal sale, derivato del sodio, il gusto sapido, o umami, è generato da un altro derivato del sodio, un amminoacido (ovvero un blocco di proteina) detto glutammato. Poiché è basato su una proteina, il gusto sapido richiama alla nostra mente la ricchezza di proteine, e pertanto l’abbondanza di elementi nutritivi essenziali per rigenerare il nostro corpo: un cibo che ne ha una dose elevata ci sembra più appetibile, e ci spinge a desiderarne di più. Una sostanza ad alto concentrato sapido prodotta dal nostro stesso corpo è il latte materno: non suggeriamo certamente di usarlo in cucina (!), ma menzioniamo questo fatto per capire come noi stessi siamo portati a cercare il gusto sapido fin dall’infanzia.
Bisogna tenere presente che molte fonti di sapidità (soprattutto le salse di soia, le salse di pesce e ostriche, la salsa Worcestershire e la più nostrana pasta d’acciughe, oltre ai dadi da brodo) sono anche a elevato contenuto di sale, per cui aggiungono salato e sapido allo stesso tempo, e ci rendono difficile fare una distinzione netta dei due sapori.
Il glutammato monosodico (MSG) è la fonte pura del gusto sapido. È anche l’ingrediente principale dei dadi da brodo. Il cibo nostrano a più alto contenuto naturale di glutammato (ne contiene ben l’1,2%) è il parmigiano reggiano, assieme ai formaggi stagionati simili (come il grana padano): questo spiega perché il formaggio grattugiato aggiunge un’ampia dimensione di sapore alla pasta, e lo stesso fa un pezzo di crosta di formaggio lasciato a cuocere in un brodo.
Funghi e pomodori sono altre ottime fonti naturali di gusto sapido, che aumenta di intensità quando funghi e pomodori sono saltati in padella o cotti al forno. La pasta concentrata di pomodoro funziona molto bene come aggiunta di sapidità, facile da mescolare ai cibi. Un’altra fonte ben nota sono i funghi shiitake, comuni alla cucina cinese e giapponese (una volta secchi, concentrano un altissimo livello di glutammato, e anche nucleotidi di guanilato disodico, un altro esaltatore di sapidità).
Troviamo alte concentrazioni di gusto sapido anche in tonno, gamberi, molluschi in conchiglia, crauti e pasta di miso.
Quando pensiamo al contributo del gusto sapido, faremmo meglio a considerarlo come la base di partenza di un piatto, piuttosto che un’aggiunta all’ultimo minuto (pensiamo a quanto ci sembra strana o magari ridicola un’istruzione di “aggiustare di dado da brodo”!). Poiché, come abbiamo detto, molti ingredienti sapidi sono anche naturalmente salati, questo ci deve rendere molto attenti nell’usarli in partenza, per non rischiare di eccedere con la salatura.
L’aggiunta di sapido andrebbe fatta idealmente solo quando un piatto è bilanciato negli altri gusti, ma sembra ancora mancare di qualcosa. L’esagerazione di sapido, al contrario, può obliterare gli altri gusti nel piatto e dare una sensazione come quella che si sente negli snack a basso prezzo (nei quali molto spesso questa sensazione è dovuta proprio a un eccesso di glutammato).
Generalmente, le aggiunte di elemento sapido devono essere fatte a piccole dosi: un poco di pasta concentrata di pomodoro serve come sostegno alle cipolle caramellate, ketchup o miso aggiungono note di sapore (e colore) alla maionese. Dovremmo cercare anche di non aggiungere troppi ingredienti che sappiamo essere di base sapida.
Il gusto sapido è esaltato da aggiunte dei gusti dolce e acido.
Il piccante
Abbiamo già accennato al fatto che il piccante non è un gusto a sé stante, ma piuttosto uno stimolo sui ricettori del calore. Lo stimolo può arrivare da più direzioni; dalla lingua e dal cavo orale, dove agiscono la capsicina (presente nel peperoncino) e la piperina (presente nel pepe), oppure dalla cavità nasale, dove agisce l’isotiocianato d’allile (il principio piccante della senape, della salsa di rafano e del wasabi)
Lo stimolo del piccante invia al cervello un messaggio simile a quello di una bruciatura, e il cervello inizia a reagire in due direzioni. Da una parte produce endorfine, che danno una sensazione di piacere (ecco perché a tante persone piace il piccante, nonostante la sensazione sia in sé tutt’altro che gradevole), dall’altra attenua le percezioni sensoriali, per ridurre il dolore della bruciatura. Per questo, i livelli elevati di piccante ottundono il sapore del cibo, e una persona satura di piccante potrebbe non riuscire più a distinguere tra una salsa e un impasto di fango, se le due sostanze hanno la stessa consistenza. Per fortuna i ricettori del gusto non sono distrutti dal piccante, ma solo anestetizzati per un certo periodo, che può arrivare a diverse ore nel caso dei peperoncini ibridi più piccanti.
Il compito di ogni cuoco responsabile è di non spingere mai i livelli del piccante al punto di un’anestesia totale del gusto (e spesso anche dell’olfatto, perché anche l’effetto delle sostanze piccanti in bocca si trasferisce alla cavità nasale), ricordandosi anche che può cucinare per più persone, che possono avere livelli diversi di tolleranza al piccante: quel che può sembrare appena piccante a uno, può apparire già abbastanza vibrante a un altro, e quando il primo trova il suo livello ideale di piccante, il secondo può già essere ridotto alle lacrime. Non è male far assaggiare i cibi piccanti a più persone, per avere un’idea del livello da raggiungere.
Due note finali sul piccante del peperoncino:
• Più a lungo facciamo cuocere il peperoncino o i suoi derivati (polveri, paste, etc.), più piccante diventerà il piatto, per la capsicina progressivamente rilasciata nel cibo.
• Quando il peperoncino è troppo piccante da sopportare, la lezione più importante da imparare è questa: usiamo grassi, e non acqua, per “spegnere” il bruciore. La capsicina è solubile nei grassi.
L’armonia tra i gusti
Imparare a combinare e a bilanciare i gusti è un concetto culinario di enorme importanza, evidente in modo speciale nella cucina asiatica. La ragione per cui quasi tutti apprezzano la cucina cinese, thai, vietnamita e giapponese è che hanno piatti molto dinamici nei loro gusti. Un curry thai ha dolcezza dal latte di cocco e dallo zucchero, sapidità dalla salsa di pesce, note piccanti e di terra da erbe e spezie nella pasta di curry, e acidità dall’aggiunta di succo di lime. Tutti questi gusti differenti si combinano per creare un ottimo equilibrio sui nostri ricettori del gusto.
Dobbiamo imparare come i gusti si bilanciano (ovvero si equilibrano) oppure si esaltano tra loro. Possiamo seguire questi rapporti nella tabella seguente, dove salato e sapido sono stati messi assieme, perché si comportano allo stesso modo con gli altri gusti, e non si modificano l’un l’altro in misura considerevole.
Come possiamo notare, salato e sapido si esaltano a vicenda con dolce e acido, mentre si bilanciano con l’amaro. Il piccante si bilancia con dolce e acido, e non ha alcuna interazione rilevante con gli altri ricettori del gusto (a parte, ovviamente, la sua capacità di anestetizzarli).
Imparare a bilanciare i gusti aiuta a conoscere i contrasti che renderanno un sapore finale ancor più armonioso. Sapere come il piccante interagisce con dolce e acido, per esempio, ci mette in grado di aggiungere le giuste note piccanti a un condimento agrodolce. Se invece un piatto risulta troppo piccante, sapremo contrastare l’eccesso con aggiunte di dolce o di acido.
L’effetto dell’esaltazione, che abbiamo già trattato parlando del sale, è invece una sorta di amplificatore del gusto. Funziona solo tra il salato /sapido e il dolce oppure l’acido, e porta al successo di abbinamenti apparentemente estremi come il caramello salato.
Studiando questa tabella delle interazioni, impareremo a creare piatti più dinamici, ad amplificare certi gusti, e a salvare preparazioni che hanno qualche esagerazione.
Come dicevamo a proposito della cucina asiatica, quanti più profili di gusto riusciamo a incorporare in un piatto, tanto più questo sarà vivo e saporito. Ancor prima di cucinare, possiamo dare un’occhiata alla tabella degli ingredienti di una ricetta, “sezionandoli”, e determinando quali aggiungono dolcezza, quali acidità, e così via. Se notiamo che gli ingredienti tendono pesantemente in una direzione o in un’altra, sapremo che con l’aggiunta di ingredienti che corrispondono al gusto mancante molto probabilmente miglioreremo il piatto. Ricordiamo che questa è solo una direzione generale: se identifichiamo un gusto carente, questo non ci dice ancora quale ingrediente di quel gusto aggiungere e quanto aggiungerne. Questo si impara con l’esperienza e con prove ripetute, e può essere influenzato da vari fattori, sia esterni e oggettivi (un pesce leggermente più fresco di un altro può richiedere minori aggiunte di succo di limone) sia del tutto soggettivi (le preferenze di gusto possono variare da un commensale a un altro).
In cottura, i profili del gusto si alterano. Più un cibo cuoce, più aumentano i livelli di dolce e di sapido, e più diminuisce il livello di acido. Ma solo fino a un certo punto: un cibo troppo cotto tende ad avere maggiori livelli di amaro, e la salatura perde di intensità.
L’armonia tra i gusti non deve necessariamente essere limitata ai cibi cotti: un esempio di armonia quasi perfetta è il Bloody Mary, un cocktail in cui si armonizzano tutti i profili di gusto tranne l’amaro.
La sinfonia del sapore
Una possibile suddivisione dei gusti è quella in “note” basse, medie e alte: le note basse sono i gusti che creano lo sfondo per altri gusti (pensiamo all’umami e agli aromi di terra di funghi e legumi); le note medie sono le più sottili, non immediatamente identificabili, come gli ortaggi crudi e il pesce (gusti che sembrano noiosi e sciapi se non hanno altri gusti che li ravvivano); le note alte sono i gusti che “danzano” in bocca, dando vivacità a tutto il resto (pensiamo al succo di agrumi, agli aromi delle erbe fresche, alle spezie piccanti). Un modo di cucinare (libero da ogni ricetta) è quello di creare una “sinfonia” in cui gli strati di queste note agiscono assieme per creare un piatto pieno e armonico.
Altri fattori che influenzano il sapore
Il cibo caldo ci dà spesso l’impressione di avere un sapore migliore, perché il calore rilascia una maggiore quantità di odori. Questa è la ragione per cui molti dicono che i cibi caldi sono più gustosi, e cadono nella pericolosa generalizzazione “caldo = buono”. Di conseguenza, è più sicuro assaggiare i cibi, se possibile, alla temperatura alla quale saranno portati in tavola.
A volte un piatto non ha necessariamente bisogno di maggior gusto: piuttosto, ha bisogno di ricchezza, ovvero di qualcosa che metta insieme diversi gusti. Per questo effetto legante il trucco è usare un poco di grasso, come qualche cucchiaio di olio, burro o di panna.
Un contrasto di consistenze, diverse ma complementari, può rendere più interessante il sapore di un piatto. Un tipico esempio è l’aggiunta di un poco di pan grattato sulla pasta al formaggio, o su una parmigiana di melanzane. Il croccante delle briciole di pan grattato offre un contrasto piacevole con gli altri ingredienti più molli. Allo stesso modo, scalogno o sedano a pezzi possono dare un sorprendente apporto di consistenza e sapore alle patate schiacciate. Altri ingredienti che possono variare le consistenze includono vari tipi di noci tostate e tritate, i formaggi compatti (come la feta) sbriciolati, vari tipi di semi, le castagne d’acqua e i crostini.
Una delle sensazioni che possiamo provare con certi cibi, di solito non molto gradevole, è l’astringenza (che i fisiologi non sono ancora concordi se considerare o no parte del senso del gusto): si tratta della sensazione allappante (come se la lingua e il palato fossero foderate di cotone) che ci viene da alte concentrazioni di tannino (per esempio quello del tè nero), o con cibi come i cachi non maturi.
Come aggiungere sapore con un fondo aromatico
La maggior parte delle ricette nel mondo – soprattutto salse, minestre, curry, cibi alla brace, verdure e fritture saltate, stufati e brodi – inizia con qualche combinazione di aglio, cipolle, zenzero, sedano o carote. La lista non è limitata a questi 5 elementi, e include varianti a loro simili (come cipollotti o scalogno) o piuttosto diverse (come peperoni, peperoncini e pomodori). Da queste combinazioni di base deriva la maggior parte del sapore dei cibi.
Le combinazioni dei fondi aromatici sono riscaldate in qualche forma di grasso – tra cui vari tipi di olio, burro, burro chiarificato o latte di cocco – all’inizio della preparazione di un piatto. Il grasso riscaldato aiuta questi ingredienti a rilasciare aromi aggiuntivi e a impartire al piatto una base di sapore profondo. Cucinare senza questi elementi di base è possibile, ma a nostro rischio e pericolo: il risultato sembrerà vuoto.
La preparazione degli elementi di base dipende dal ruolo che avranno nel piatto finale:
• Se gli elementi sono aggiunti per rilasciare sapore, ma saranno tolti a un certo punto (come accade agli elementi aromatici del brodo, o all’aglio in diversi tipi di soffritto), non è necessario molto lavoro di coltello: sarà sufficiente tagliare longitudinalmente una cipolla o uno spicchio d’aglio in due metà, dividere una carota in 3 o 4 pezzi, oppure mettere rametti interi o mazzetti di erbe.
• Se invece il fondo aromatico sarà una parte del piatto finale, allora si lo deve tagliare o tritare finemente. La superficie aggiuntiva esposta alla cottura aiuterà a rilasciare il sapore in modo più veloce e pieno, e i pezzi piccoli si fonderanno nella consistenza del prodotto finale (questa è la ragione del successo del soffritto italiano e del suo equivalente francese, il mirepoix, o “mille punti”).
• Ci sono invece i fondi aromatici che sono preparati in partenza per dissolversi nel grasso di complemento (l’esempio perfetto sono le paste di curry thai e il loro abbinamento con il latte di cocco); spesso si tratta di fondi piccanti a base di peperoncino, e bisogna tenere a mente che più la loro cottura è prolungata, più si sentirà il piccante.
Data l’importanza del fondo aromatico nei sapori finali dei nostri piatti, ci farà piacere sapere che questo è un campo in cui le regole e le proporzioni non sono così fisse. Possiamo omettere qualche elemento, sostituirlo (per esempio, lo scalogno può prendere il posto dell’aglio o della cipolla) o alterarne le basi o le quantità (il più tipico soffritto italiano e francese è fatto con due parti di cipolla, una di carota e una di sedano, ma è perfettamente lecito fare un soffritto di sola cipolla, oppure spingersi verso il sofrito latino-americano, che mette a complemento delle cipolle l’aglio, il peperone e il pomodoro). Possiamo provare miriadi di combinazioni del fondo aromatico con erbe e spezie, e una volta che avremo perfezionato la nostra conoscenza dei gusti e della loro armonizzazione, potremo anche creare fusioni etniche (per esempio, aggiungendo ai soffritti delle ricette europee un poco di zenzero, facendo attenzione che con questo si introduce una nota di dolce-caldo che andrà bilanciata opportunamente), fino ai limiti della nostra voglia di sperimentare.
Come aggiungere sapore con erbe e spezie
Ci sono semplicemente migliaia di diverse piante aromatiche che possono aggiungere note di profumi e variazioni di gusto ai nostri cibi. Iniziamo da una differenza di classificazione: le erbe vengono di solito dalle foglie e dai gambi delle piante, mentre le spezie vengono dalle radici, dalla corteccia e dai semi. Alcune piante (per esempio il coriandolo) producono parti usate in entrambe le categorie.
Il primo passo per familiarizzarci con erbe e spezie è imparare a conoscere bene il loro profumo. Per sviluppare una “memoria degli aromi”, può essere utile ricordare erbe e spezie non singolarmente, ma in combinazione con un cibo che ne contiene in abbondanza (per esempio, origano e pizza, oppure chiodi di garofano e vin brulé).
In seguito, dobbiamo decidere la nostra strategia con l’uso di queste sostanze aromatiche. Un approccio più semplice (che possiamo riservare alle fasi iniziali del nostro apprendimento) è di usare erbe e spezie – e in generale tutte le aggiunte aromatiche come le salse – per esaltare ed equilibrare i gusti degli ingredienti originali, lasciando a tali ingredienti il ruolo principale nel piatto. Un secondo approccio, più raffinato (e più da maestri) è di usare erbe e spezie in modo che gli ingredienti principali non siano altro che delle singole note in una sinfonia generale. Quale che sia la nostra decisione, dobbiamo comunque procedere con cautela: un’esagerazione di aggiunte aromatiche non rende necessariamente sgradevole un piatto (come lo farebbe un eccesso di sale), ma rischia di coprire il sapore di base, a tal punto che chi mangia non percepisce altro che erbe e spezie.
Di solito, la quantità di erbe e spezie date in una ricetta è solo un’indicazione generale. La potenza di erbe e spezie dipende spesso dalle loro varietà, quasi sempre dal grado e dal tempo di conservazione (quando sono state essiccate, quando sono state polverizzate o tritate, e così via), e naturalmente dai gusti personali. Un modo cauto per aggiungere erbe e spezie è di non metterne molte all’inizio, e attendere la fine della cottura per vedere come si sentono i gusti e gli aromi, e se sono equilibrati tra loro. A questo punto di possono aggiungere ulteriori pizzichi per compensare.
Quando aggiungere le erbe (e quante) dipende molto dalle caratteristiche principali della sostanza aromatica:
• Generalmente, è meglio aggiungere le erbe secche all’inizio della cottura, e quelle fresche alla fine.
• Così come per il sale, le aggiunte iniziali rilasceranno aromi più sfumati, e quelle finali produrranno aromi più distinti.
• Le erbe e le spezie tritate o polverizzate rilasciano velocemente il loro aroma. In piatti a lunga cottura, come gli stufati, può essere meglio aggiungerle verso la fine per evitare che tale aroma si disperda con il tempo di cottura.
• Alcune erbe fresche particolarmente delicate (come il dragoncello) devono essere aggiunte necessariamente dopo la fine della cottura, mentre altre possono aver bisogno di essere sbollentate (ovvero immerse per poco in acqua bollente e poi raffreddare in acqua ghiacciata) per non perdere il loro colore (è il caso del basilico).
• Le spezie intere (come le foglie di alloro) rilasciano il loro aroma più lentamente, e sono ideali per i piatti con tempi di cottura più lunghi. Per rimuoverle più facilmente, possono essere legate in mazzetti (come per il bouquet garni francese), oppure avvolte in sacchetti di tela o in reticelle.
• Per cibi crudi, come le salse da insalata, è meglio aggiungere erbe espezie in anticipo (anche molte ore prima di servire in tavola), per dare tempo agli aromi disvilupparsi e di “sposarsi”, ovvero di amalgamarsi tra loro. In alternativa, un liquido con spezie ed erbe può essere riscaldato brevemente e poi lasciato raffreddare. Per salse con aceto e olio, è meglio aggiungere spezie ed erbe all’aceto e lasciare riposare per un certo tempo prima di aggiungere l’olio.
Un tipico sbaglio con erbe e spezie è cercare di usarne molte allo stesso tempo, andando per tentativi. Agli inizi è meglio metterne poche (o addirittura una sola) e cercare di padroneggiarne l’uso, piuttosto che lavorare di fantasia nei mix e rischiare di rovinare un piatto a causa di un sapore non armonico. Per le persone che amano le miscele, esistono per fortuna i mix già sperimentati di erbe e spezie, di cui parleremo qui sotto. In un solo caso possiamo lasciare mano libera alle miscele: quando abbiamo in casa erbe e spezie vecchie, che hanno già perso molta della loro potenza, possiamo abbastanza impunemente tritarle in un misto di povere aromatica.
Le erbe secche (e ancor più le erbe polverizzate) temono l’umidità: è meglio estrarre la porzione desiderata con un cucchiaio asciutto, e non aggiungerle direttamente dal loro contenitore su una pentola fumante (il vapore può farle rapprendere e alterare, o comunque ridurne la potenza)
• Le erbe a fogliette (come origano, timo o maggiorana) possono essere sminuzzate con la mano per rilasciare in modo più immediato il loro aroma.
• Facciamo attenzione nell’aggiunta di concentrati di spezie (come il peperoncino di Cayenna e la polvere d’aglio), che sono più intensi nel loro effetto: per iniziare, proviamo ad aggiungerli a dosi minori, e poi assaggiamo.
• Come abbiamo detto a proposito del piccante, l’intensità di piccante del peperoncino (inclusi i mix di spezie a base di peperoncino) cresce con la cottura. Aggiungendolo in piccole dosi, saremo in grado di controllarne meglio l’intensità.
Sostituzioni di erbe e spezie
Molte erbe hanno proprietà simili, e possono essere sostituite da altre erbe a loro vicine. Il rosmarino e la salvia hanno entrambi un alto contenuto di eucaliptolo, e un piatto arricchito dal rosmarino (come le patate al forno) sarà arricchito in modo simile dalla salvia, e viceversa. Imparando a conoscere le erbe, scopriremo quali sostituzioni sono utili: usare il dragoncello al posto dello zafferano non solo funziona, ma rende il piatto estremamente più economico; se non troviamo la citronella, potremo ricostruirne l’aroma di base con una combinazione di scorza di limone, zenzero e basilico.
Impariamo a conoscere le erbe e le spezie
Le erbe e le spezie variano il sapore (e il colore) dei cibi, rendendoli più interessanti da cuocere e da mangiare. Ecco un elenco di alcune delle più famose.
Achiote (annatto)
Semi rossi leggermente amari, con un gusto di terra, usati in pasta o in polvere come colorante naturale e in molti piatti della cucina latino-americana.
Aglio
Ingrediente chiave delle basi aromatiche in tutto il mondo. Si usa anche come spezia, disidratato in polvere o in granuli, per aggiungere una nota dolce dall’aroma intenso.
Ajowan
Nota anche come erba del vescovo, produce piccoli frutti che contengono lo stesso principio del timo (il timolo) e dall’aroma leggermente amaro e piccante simile al cumino. Usato in Egitto (di cui è originario), Africa orientale, Medio Oriente e India (dove è spesso fritto in olio). È uno degli ingredienti del berberé etiopico ed eritreo. Cotto con i fagioli ne riduce gli effetti flatulenti.
Alloro
Le foglie di alloro o lauro, fresche o secche, si usano per aromatizzare zuppe, salse, brodi, stufati, sciroppi e liquori.
Aneto
Di questa pianta erbacea simile (anche per aroma) al finocchio si usano in molti paesi le foglie fresche o secche (prevalentemente in piatti a base di pesce, in insalate o salse) e i semi essiccati (in liquori e confetture).
Anice stellato
Caratteristico frutto legnoso con occhielli di semi disposti a stella, è tipico della cucina cinese e vietnamita. Aggiunge un aroma di liquirizia simile a quello dell’anice verde, e come quest’ultima è usato in diversi liquori.
Anice verde
Piccoli semi dall’aroma di liquirizia, usati nella cucina europea per torte, pasticceria e pani dolci, e nella cucina mediorientale e indiana per zuppe e stufati; sono la base di diversi liquori.
Assafetida
Pianta dall’odore forte e (come suggerisce il nome) sgradevole, originaria della Persia, era comune nelle cucine europee fino al medioevo; oggi è usata nella cucina indiana per piatti di verdure e riso, stufati e salse. Dalla radice si ricava una polvere dall’aroma simile a quello dell’aglio, ma più speziato, tendente al pepe nero.
Bacche di ginepro
Le bacche (o per usare il termine botanico corretto, i galbuli) del ginepro si usano come insaporitori e sono un ingrediente di tisane, vini aromatizzati e liquori.
Basilico
Usato spesso nella cucina mediterranea, perfettamente appaiato con i pomodori. È uno degli ingredienti chiave del pesto. Da usare fresco e da aggiungere all’ultimo momento, perché la cottura lo neutralizza.
Basilico cinese (shiso)
Le foglie verdi o purpuree di questa pianta simile al basilico si usano nelle cucine asiatiche orientali come involto per pesci e vegetali al vapore, nelle zuppe e come erbe aromatiche. Anche i semi hanno un uso alimentare.
Basilico thailandese
Variante del basilico mediterraneo (o basilico dolce), presenta note speziate di anice e liquirizia.
Cannella (cinnamomo)
Spezia aromatica dolce ricavata dal fusto di un albero originario dello Sri Lanka; è apprezzata in tutte le cucine come aromatizzante per dolci, ma in Oriente entra anche a far parte di mix salati. Si utilizza in pezzi di corteccia essiccata, oppure in polvere.
Cappero
I boccioli dell'arbusto di cappero, macerati sotto sale o sotto aceto, aromatizzano diversi cibi, tra cui pesci lessati, salse, frittate e pizze.
Cardamomo
La terza spezia più cara al mondo dopo zafferano e vaniglia, si presenta sotto forma di frutti a capsula contenenti tanti piccoli semi, in una gran quantità di varietà distinte per il loro colore e per la loro provenienza. I semi sono la vera spezia, ma poiché perdono molto rapidamente il proprio aroma, il frutto del cardamomo è venduto essiccato, con le capsule intere. L’intenso aroma canforato rende il cardamomo una spezia unica negli abbinamenti con il caffè e il tè, nei prodotti da forno in combinazione con cannella e chiodi di garofano, e per insaporire i piatti di numerose cucine, dalla Scandinavia all’Etiopia, dall’Iran al Vietnam, con una prevalenza nella cucina indiana.
Carvi (cumino dei prati)
Semi dal gusto di anice, usati nelle cucine dell’Europa centro-settentrionale (a partire dall’Alto Adige) per aromatizzare il pane di segale, i crauti, alcuni liquori e le insalate di patate.
Cerfoglio
Erba simile al prezzemolo, ma dal gusto più delicato, con note d’anice. È più popolare in Francia che in Italia, ed è usata con omelette (si sposa molto bene con le uova), insalate e zuppe, e anche come guarnizione.
Chia
I semi della Salvia Hispanica originaria del Guatemala e del Messico sono quasi privi di sapore, ma si usano in diversi cibi e bevande della cucina latino-americana per aggiungere consistenza, e anche come sostituto vegetale delle uova.
Chiodi di garofano
Boccioli essiccati di una pianta tropicale nota in tutto il mondo (già gli antichi la usavano per lenire il mal di denti) dall’inconfondibile aroma dolce e caldo. Si conservano interi (meglio tenerli lontano dai recipienti di plastica, che potrebbero alterarsi a causa degli oli di cui la spezia è ricca), e si usano nei dolci, nella frutta, nei vini caldi, nei brodi, nella stagionatura dei formaggi, nella conservazione di certe verdure, e in una gran quantità di mix di spezie.
Coriandolo (cilantro)
Originario dell’area mediterranea, e un tempo molto usato da noi, è passato a essere comune nella cucina asiatica e latino-americana, ed è rientrato nella cucina europea come prestito da queste altre culture. È una: il seme ha note di terra e di limone, la foglia è usata per aggiungere un pungente simile a quello del prezzemolo, ma con un aroma piuttosto diverso. Le sue radici sono la base delle paste di curry thai.
Cumino
Semi aromatici con note di fumo e di terra, molto usati nelle cucine asiatiche, nord-africane e americane. Si usano sia interi (preferibilmente tostati) sia in polvere, e sono tra le basi di molte misture di spezie.
Cumino nero
Varietà di cumino (usata in cucina negli stessi modi) dal seme più scuro e allungato, presente principalmente nella cucina indiana, iraniana e delle repubbliche centro-asiatiche.
Curcuma
Rizoma di una pianta della stessa famiglia dello zenzero, si può consumare cruda oppure cotta, essiccata e polverizzata. È tra gli ingredienti di base della cucina asiatica, talvolta usata più per il suo effetto colorante giallo che per il suo gusto pungente e amaro. Sostituisce lo zafferano come colorante naturale molto meno costoso.
Dragoncello (estragone)
Erba dal forte aroma di anice, molto utilizzata nella cucina toscana e in quella francese per insaporire pesce, uova e insalate. Masticare le foglie crude attenua la sensibilità dei ricettori del gusto, per cui le foglie sono usate per rendere meno amare certe medicine.
Epazote
Un’erba molto forte (con note di trementina) usata nella cucina messicana insieme ai fagioli neri, di cui taglia la pesantezza e aiuta a contrastare gli effetti di flatulenza.
Erba cipollina
Erba a steli dal delicato aroma di cipolla, da consumare preferibilmente fresca, tipica della Francia, ma diffusa anche in Italia. Si usa come guarnizione, per aromatizzare il burro, per esaltare il gusto di crespelle, insalate, zuppe e pesce. Può essere usata per legare fagottini, mazzetti di verdure e involtini.
Fieno greco
Semi di una pianta simile al trifoglio, dal gusto amaro con note di zucchero bruciato. Usato dal Marocco alla Cina, particolarmente presente nella cucina indiana.
Finocchio
Tutte le parti del finocchio orticolo e di quello selvatico (o “finocchietto”) si usano in cucina. Ricordiamo l’uso delle foglie di finocchietto fresche e sminuzzate per insaporire minestre, piatti di pesce (tra cui la pasta alle sarde siciliana), insalate e formaggi; con i fiori si aromatizzano le castagne, i funghi e le olive. I cosiddetti “semi”, termine improprio per indicare i frutti (diacheni) del finocchietto, si usano nei taralli pugliesi, nei dolci, nel vino caldo e nelle tisane, e in genere come digestivo e rinfrescante dell’alito. Il grumolo bianco del finocchio coltivato ha inoltre una caratteristica singolare: contiene sostanze aromatiche che rendono gustoso anche un vino di qualità scadente o prossimo all'acetificazione (il termine “infinocchiare” viene dall’abitudine dei cantinieri di offrire pezzi di finocchio ai clienti che assaggiavano i vini di scarsa qualità). Anche se si tratta di un inganno vero e proprio, può tornare utile quando abbiamo in casa un vino che si sta alterando.
Foglie di curry
Da non confondere con il curry in pasta o in polvere, sono le foglie di un albero originario di India e Sri Lanka e usate nel subcontinente indiano e nel sud-est asiatico per impartire un aroma simile a quello del curry. Si possono consumare fresche, secche o tritate in zuppe, stufati e chutney.
Galanga
Radice simile a quella dello zenzero ma dall’intenso e pungente aroma di pino, un tempo molto usata in Europa, oggi comune nella cucina del sud-est asiatico.
Grani del paradiso
Semi piccanti dall’aroma simile a quello del cardamomo (ma senza le note di canfora a questo associate), sono molto usati in Africa occidentale e settentrionale per insaporirei piatti a base di verdure.
Levistico (sedano di montagna)
Pianta simile al sedano, ma dal gusto più intenso e gradevole, vicino al prezzemolo. Le sue foglie si usano fresche in risotti, brodi e stufati; i semi si usano in liquori e insalate. In Europa è un sostituto dell’ajowan.
Lievito alimentare in scaglie
Un derivato del lievito da birra, fatto essiccare a basse temperature, perde il potere lievitante ma non le proprietà nutritive e la sapidità, e ha un aroma simile a quelli di noci e formaggio, utile per le cucine vegane.
Lime (limetta)
Del parente tropicale del limone (diffusi nelle aree tropicali in America, Africa e Asia) non si usano solo il succo e la scorza del frutto, ma anche le foglie, che aggiungono un intenso aroma amaro, e che si possono vendere fresche, secche o congelate. Il loomi usato nella cucina araba e persiana è composto di frutti di lime essiccati interi al sole e quindi macinati.
Liquirizia
Radice amara molto popolare in dolci e liquori, usata nella cucina europea e del Medio Oriente.
Macis
Proviene dalla stessa pianta della noce moscata (è la rete colorata che circonda la noce), ma ha un gusto più sottile e delicato. Si usa in stufati, salse, aceti aromatici e liquori, o grattugiato fresco.
Maggiorana
Le foglie di maggiorana, dall’aroma di fiori e di bosco, hanno una notevole importanza nella cucina italiana e greca, e si trovano in diverse salse e marinature.
Mahleb
Trito di nuclei di nocciolo di ciliegia, mette insieme un aroma di mandorle e ciliegie con una certa acidità. Usato in tutto il Medio Oriente nei pani dolci.
Menta
È una delle rare erbe a effetto rinfrescante (mentolato) inverso a quello del piccante. In Italia è usata soprattutto per dolci e bevande, mentre in India, in Medio Oriente e Nord Africa accompagna una gran quantità di piatti. Ha molte varietà, tra le quali le più conosciute sono la menta piperita (peppermint) e la menta romana (spearmint).
Nigella sativa
Chiamata impropriamente “cumino nero”, se ne differenzia per i semi più piccoli e tondeggianti, dall’aroma pungente e amaro con note di fragola. Già nota nell’antico Egitto e nella Bibbia, si usa nella cucina mediorientale in dolci, biscotti, liquori e pani.
Noce moscata
Originaria delle isole Molucche (Indonesia) e diffusa in tutte le aree inter-tropicali, ha un aroma dolce, caldo e pungente, Molto usata nei dolci, con purè e verdure lesse, è uno degli ingredienti della salsa besciamella. Nella cucina italiana è molto usata nei ripieni.
Origano
Erba dall’aroma robusto con note di limone, molto usata nei piatti mediterranei (notevole sulla pizza e nelle insalate greche) e messicani.
Paprica
Polvere di peperone macinato, in varietà dolci e piccanti e anche in versione affumicata, aggiunge un forte aroma e un brillante colore rosso ai cibi. Tipica della cucina ungherese, molto usata anche nella penisola iberica. La versione coreana (anch’essa dolce, piccante e affumicata) si chiama gochugaru.
Pepe
Una delle spezie più comuni, originaria dell’India del sud e diffusa in tutto il mondo, è composta dai grani (o dal loro equivalente macinato) che conosciamo con i nomi di pepe bianco, pepe nero e pepe verde. Le altre varietà a cui è associato il nome o sono bacche diverse (come il pepe lungo, il pepe rosa, il pepe di Sichuan e il pepe della Giamaica o pimento), oppure non sono affatto bacche (il pepe di Cayenna è un peperoncino). I tre tipi di grani di pepe in commercio hanno caratteristiche speciali:
• Il pepe nero è il frutto acerbo della pianta di pepe, sbollentato in acqua calda ed essiccato (procedimento che lo fa annerire). È la miglior variante per le ricette.
• Il pepe bianco è dato dal solo seme del frutto, tenuto a bagno per circa una settimana per far decomporre la polpa. Tale processo, se non eseguito in acqua corrente, lascia al pepe bianco uno sgradevole odore stantìo. L’unica vera ragione per usare il pepe bianco è nelle salse bianche e nei cibi dove i granelli di buccia si vedrebbero facilmente.
• Il pepe verde, così come il nero, è prodotto dal frutto acerbo, ma durante l’essiccazione è trattato con diossido di zolfo per mantenere il colore verde del frutto. Fra i tre è quello che corre il maggior rischio di alterarsi se non è conservato bene.
Il pepe perde velocemente fragranza per evaporazione, per esposizione alla luce, e soprattutto per macinazione: pertanto, molte ricette di cucina raccomandano di macinare il pepe al momento dell’aggiunta.
Pepe lungo
Un parente del pepe nero, dalla bacca allungata, che ebbe un grande successo in Europa nell’antichità, ma che fu abbandonato dopo la scoperta dell’America e l’arrivo del peperoncino (a cui si avvicina come sapore). Il suo uso sopravvive nelle cucine nordafricane e asiatiche.
Pepe rosa
Bacche di un albero originario degli altopiani sudamericani; hanno un aroma simile a quello del pepe nero, e possono essere usate come suoi sostituti, in quantità modiche (sono leggermente tossiche).
Pepe (o peperoncino) di Cayenna
https://it.wikipedia.org/wiki/Cayenne_(peperoncino)
Più correttamente peperoncino, da una delle varietà piccanti originarie della Guyana francese.
Pepe di Sichuan
È una bacca che ricorda quella del pepe nero, ma non è correlata. Se ne utilizza in cucina la sola corteccia, che è piccante con un aroma di limone, e lascia un senso di intorpidimento. Si usa con piatti di pesce e con le melanzane fritte, ed è un componente di molti mix asiatici di spezie.
Peperoncino in polvere (chili in polvere)
Polvere macinata finemente di un peperone, spesso piccante, e generalmente nota con il nome della varietà di peperone. Se addizionata con altre spezie, diventa un mix. Aggiunge aroma, piccante e colore.
Pimento (o pepe della Giamaica)
Uno dei principali ingredienti della cucina caraibica; in inglese è detto allspice, perché riesce a combinare aromi di cannella, chiodi di garofano e noce moscata. Per questo è ideale nei mix di spezie.
Prezzemolo
Usato in una grande quantità di piatti, soprattutto salse, zuppe e pesce, sia tritato sia intero (anche per decorazione). Ha una nota pungente e leggermente amara che ravviva la maggior parte delle altre erbe (ma con alcune, come il basilico, non si armonizza bene). È la base di misture tritate come la persillade (con aglio) e la gremolata (con aglio e scorze di limone e arancio).
Rafano (barbaforte)
Radice dal sapore pungente, che aumenta se la radice è tritata. Comune in molte ricette dell’Europa orientale e centrale, e in vari piatti della cucina italiana. Una variante più forte è il wasabi giapponese.
Rosmarino
Una pianta dall’aroma forte e boscoso, amaro e leggermente astringente. Le foglie si usano fresche o secche in varie ricette della cucina mediterranea, e sui cibi grigliati.
Salvia
Molto usata nella cucina dell’Italia del nord (è un ottimo complemento al burro), le sue foglie hanno un aroma di pino, con note di limone e di eucalipto superiori a quelle del rosmarino.
Santoreggia
Erba molto usata in cucina, come il timo (a cui è simile per aroma) e la menta è presente in Italia in numerose varietà. Si usa per condire i legumi (ha effetti carminativi, ovvero anti-flatulenti), nei ripieni e nei mix di erbe (è una delle basi delle erbe di Provenza). In cucina è preferita la varietà hortensis, che cresce solo in estate; nelle altre stagioni, è presente la santoreggia montana.
Senape
Semi piccanti di diverse varietà (i più diffusi sono la senape gialla, o bianca, e la senape nera) che si consumano in diverse cucine o interi o polverizzati come base della salsa di senape.
Sommacco
Spezia tipica del Medio Oriente (ma abbonda anche in Sicilia), usata per dare una vibrante nota acida nella marinatura, nelle salse, nei ripieni, con pesce, lenticchie, cipolle e yogurt.
Timo
Pianta diffusa in molte varietà nell’area mediterranea e nel Caucaso: le specie presenti in Italia si trovano in maggior numero sull’arco alpino. Si usa come condimento generale per il gusto pungente con note di bosco date dal timolo in essa contenuto. Le varietà del thymus citriodorus hanno particolari aromi di agrumi (limone, arancia, lime)
Vaniglia
La seconda spezia più cara al mondo dopo lo zafferano, è il frutto o baccello dolce di un’orchidea originaria del Messico, e diffusa come coltivazione in tutto il mondo a partire dall’isola di Rèunion nell’Oceano Indiano. Usata soprattutto in pasticceria, per aromatizzare gelati, cioccolata, budini e altri dolci.
Verbena odorosa
Foglia dall’intenso profumo di agrumi, si usa per fare liquori, marmellate, macedonie e come spezia.
Zafferano
La più costosa delle spezie, è composta dagli stimmi rossi (interi o polverizzati) di un fiore di crocus. Ha un aroma floreale sottile ma caratteristico, e dà ai cibi un colore giallo brillante. La tipica specialità italiana allo zafferano è il risotto alla milanese. Aggiunto al cibo, ne regola il passaggio dallo stomaco all’intestino, e può essere di grande valore per chi ha problemi digestivi.
Zenzero
Radice a rizoma carnoso dal sapore dolce e pungente, può essere usata fresca, seccata e polverizzata, candita o come sottaceto agrodolce. Molto comune nelle cucine asiatiche in una gran varietà di usi, in Europa è più comunemente aggiunta ai dolci speziati.
Impariamo a conoscere i mix di erbe e spezie
Le combinazioni possibili di erbe e spezie sono letteralmente milioni, ma non siamo obbligati a fare esperimenti in cucina finché non avremo re-inventato la ruota. Il mondo è pieno di miscele testate nei secoli, che funzionano davvero (a volte bisogna solo farci l’abitudine), e il nostro primo compito è quello di familiarizzarci con i loro sapori e i loro usi in cucina.
Adobo messicano
Salsa speziata a base di peperoncini, con aggiunta di aglio, cipolla e succhi di agrumi, ristretta in brodo. Un perfetto complemento speziato al guacamole.
Baharat
Mix mediorientale finemente tritato di pimento, pepe nero, chiodo di garofano, cannella, cardamomo, coriandolo, carvi, noce moscata, paprica, a cui si aggiungono in numerose varianti elementi quali menta, petali di rosa, lime e zafferano. Usato per zuppe, salse, lenticchie, pilaf di riso, cuscus e pesce.
Berberé
Miscela di base delle cucine etiope ed eritrea, piuttosto piccante, con peperoncino, zenzero, chiodi di garofano, coriandolo, pimento, ruta comune, ajowan, korarima (cardamomo etiopico), basilico, nigella, fieno greco e talora anche pepe lungo.
Bouquet Garni
Un mazzetto di erbe di origine provenzale per zuppe, brodi e stufati, che contiene invariabilmente timo e alloro, e possibilmente altre erbe come prezzemolo, basilico, sanguisorba, cerfoglio, rosmarino, salvia e dragoncello. Può includere anche verdure come sedano (foglie e stelo), carote, sedano rapa, cipolle e prezzemolo radice. Spesso è avvolto nella parte verde del porro, ed è chiuso con uno spago, oppure in un sacchetto o filtro da tè, per facilitare la sua estrazione dopo che ha rilasciato gli aromi.
Cajun
Miscela piccante di spezie tipica della cucina creola degli Stati Uniti, perfetta per le grigliate.
Curry in pasta
Il termine curry deriva dal tamil kari, che significa salsa. Può indicare diverse miscele speziate, solitamente in pasta o in polvere. Il curry in pasta è fatto da spezie ed erbe fresche pestate nel mortaio, tipiche della cucina del sud-est asiatico, segnatamente di quella thailandese. Ha diverse varianti (e colori) a seconda degli ingredienti, e diversi livelli di piccante; quella pestata sul momento a partire da ingredienti freschi ha un sapore più intenso di quelle conservate sotto forma di pasta.
Curry in polvere
Miscela di spezie pestate nel mortaio, di origine indiana, ma diffusa in tutte le cucine asiatiche. Aggiunge aromi diversi a vari livelli di piccante, e spesso anche un bel colore (derivato in gran parte da curcuma e peperoncino). Include tipicamente coriandolo, cumino, fieno greco e peperoncino rosso, ma i mix possono essere molto variati. Si usa in un’ampia gamma di piatti, incluse le salse da insalata.
Dukkah
Miscela essiccata e salata di nocciole o ceci, sesamo, pepe, coriandolo e cumino. Si usa in Egitto per insaporire verdure o insalate, o come crosta di impanatura per gamberi e pesce.
Erbe di Provenza
Miscela di erbe essiccate (tra cui timo, rosmarino, basilico, finocchio, salvia, maggiorana, menta, dragoncello, cerfoglio, levistico, origano, lauro e santoreggia, talora assieme a fiori di lavanda), che accompagnano verdure, stufati e grigliate, o sono lasciate in infusione nell’olio per insaporirlo.
Garam Masala
https://it.wikipedia.org/wiki/Garam_masala
Mix di spezie pestate nel mortaio, tra cui sono preminenti cannella, semi di cumino, coriandolo, bacche di cardamomo, chiodi di garofano, grani di pepe nero e curcuma. È una delle spezie di base nella cucina indiana, che dà il meglio quando è appena macinata.
Miscela creola
Mix di pepe bianco, pepe nero, pepe verde, pepe rosa e pimento.
Mostarda
Nella cucina italiana, il termine denota un mix di frutta, zucchero ed essenza di senape piccante diffuso nella Pianura Padana. In Francia, il termine moutarde indica invece le salse a base di senape e aceto tipiche della zona di Digione.
Old Bay
Creato nel Maryland come condimento salato per granchi e gamberi, si è diffuso come mix di uso generale. Contiene senape, paprica, sale al sedano, foglie di alloro, pepe nero, fiocchi di peperoncino rosso, macis, chiodi di garofano, pimento, noce moscata, cardamomo e zenzero.
Polvere delle cinque spezie
Mix di origine cinese e diffuso in altri paesi asiatici, composto tradizionalmente da anice stellato, pepe di Sichuan, chiodi di garofano, cassia (cannella cinese) e semi di finocchio
Ras el Hanout
Il nome significa “capo della dispensa”, ed è l’equivalente nordafricano della polvere di curry: è una miscela di una trentina di piante (non necessariamente spezie) tra cui noce moscata, cannella, macis, anice, curcuma, pepe rosa, pepe bianco, galanga, zenzero, chiodo di garofano, pimento, cardamomo nero, cardamomo verde, boccioli di rosa, lavanda. Siusa in piatti speziati e in molte ricette con cuscus e riso.
Shichimi tōgarashi
Il nome giapponese significa "peperoncino ai sette sapori": al peperoncino di varietà tōgarashi sono aggiunti scorza di mandarino (che dà al mix un colore arancio), semi di sesamo (talvolta sesamo nero), semi di papavero, semi di canapa (talvolta sostituiti da zenzero o da aglio tritato), alga nori tritata, pepe di Sichuan. Altri ingredienti alternativi sono colza e liquirizia. Il mix è usato in zuppe e piatti a base di riso.
Spezie per sottaceti
Mix presente in molte varietà, che spesso includono alloro, semi di senape gialla, grani di pepe nero, pimento e semi di coriandolo. Si usa per profumare le verdure messe sott’aceto.
Za’atar
Trito mediorientale di erbe (soprattutto timo) e spezie (soprattutto sommacco) con sesamo, dal gusto leggermente amaro. Mescolato con olio per guarnire pani e pizze, si usa anche sui cibi grigliati, in salse come l’hummus o mescolato al latte acido.
Impariamo a conoscere le salse
Una buona salsa può trasformare un piatto scipito e noioso in qualcosa di delizioso. Imparando a familiarizzarci con le salse (e anche a prepararle da noi stessi), possiamo migliorare notevolmente e con poco sforzo le nostre capacità culinarie.
Aioli
Crema di aglio, olio d’oliva e limone (il nome significa "aglio e olio") tipica dei paesi del Mediterraneo occidentale. Talvolta emulsionata con uova, latte o patate lesse, è servita come antipasto, o accompagna piatti di pesce o di verdure.
Bagna caoda (pron.: càuda)
Salsa piemontese e valdostana a base di acciughe salate, aglio e olio d’oliva (anticamente anche olio di noci), con aggiunte di burro (e in certe varianti anche di latte). È servita in terrine mantenute calde con braci o fornelli, e vi si intinge un pinzimonio di verdure, tra cui cardi, topinambur e peperoni.
Besciamella
Variante della salsa vellutata che usa il latte come liquido di base. Usata su una gran varietà di piatti, tra cui verdure gratinate, pasta (soprattutto lasagne) e soufflé.
Colatura di alici
Una variante tutta italiana della salsa di pesce asiatica, specialità della costiera amalfitana, è probabilmente l’ultima discendente diretta del garum, la salsa a base di pesce degli antichi romani. È composta da alici ripulite di teste e interiora, maturate attraverso un complesso procedimento in soluzione satura di acqua e sale.
Cren
Salsa piccante a base di rafano macinato, con aggiunte di mela, pangrattato, aceto e zucchero. Tipica delle cucine dell’Europa orientale, in Italia è diffusa soprattutto nel Triveneto.
Gravlax
Marinatura scandinava a base di sale zucchero e aneto, usata soprattutto per il salmone.
Ketchup
Salsa a base di pomodoro con aggiunta di aceto, zucchero e spezie. Tanto vituperata come cibo da fast food, è in realtà un prezioso elemento da cucina che aggiunge contemporaneamente livelli di salato, acido (da aceto e pomodori), dolce (dallo zucchero) e umami (dai pomodori). A questo possiamo aggiungere anche il piccante se usiamo le sue varianti orientali con peperoncino, come la sriracha.
Maionese
Una delle salse di base della cucina francese, a base di olio e tuorlo d’uovo, emulsionato con aceto o succo di limone. Ne esistono versioni senza uovo
, sostituito dal latte di soia. Si usa per condire patate fritte e pesce, come base per l’insalata russa, spalmata su panini e tramezzini, e assieme alle uova sode.
Marinara
Variante (o piuttosto varianti) della salsa di pomodoro di origini napoletane, con aglio, cipolle ed erbe. Nella cucina italiana è usata solo come riferimento associato a piatti (pizza, spaghetti), mentre la cucina italo-americana la considera una salsa a sé stante, e la usa come base di molti piatti.
Salsa agrodolce
Oggi diffusa come un derivato della salsa di pomodoro, con aggiunta di succo d’ananas e di aceto di riso, ed è originaria della cucina cinese (nella quale l’uso del pomodoro è piuttosto tardivo e raro, limitato alle regioni della Cina occidentale) ma è passata attraverso il mondo arabo alle cucine europee. In Italia si sono sviluppate varianti con aceto di vino bianco, cipolle e zucchero.
Salsa arrabbiata
Salsa piccante a base di pomodori piccanti, pecorino romano, aglio, peperoncino, prezzemolo, sale e olio, usata per sughi e paste.
Salsa bernese (o bearnese)
Un derivato della salsa olandese con burro chiarificato, tuorlo d'uovo, scalogno, dragoncello e cerfoglio. Si usa su grigliate e pesce ai ferri.
Salsa chili
Salsa piccante messicana a base di fagioli, peperoncino, chiodi di garofano e cipolle. Si usa su piatti di riso o sulle insalate.
Salsa di pomodoro
Una preparazione di pomodoro cotto e passato (se non è passato prende il nome di polpa; se è passato e ridotto di acqua in cottura, prende il nome di concentrato), che forma la base per innumerevoli sughi, usati soprattutto sulla pasta e sulle pizze.
Salsa di pesce
Comune a tutte le cucine del sud-est asiatico e della Cina meridionale, è un liquido a base di pesci, molluschi o crostacei (più spesso acciughe, ma anche seppie e gamberi, con versioni a base di ostriche), messi a fermentare sotto sale. Ci sono anche varianti sotto forma di pasta (come la pasta d’acciughe nostrana). Sostituisce il sale (aggiungendo anche sapidità) ed è un ingrediente fondamentale della cucina di questi paesi, soprattutto in zuppe, curry e brodi.
Salsa di soia (shoyu)
Originaria della Cina e poi diffusa in Giappone dai monaci buddhisti, è prodotta dalla fermentazione della soia (e anche del grano, nella versione giapponese detta Tamari) in soluzione salina, con l’aggiunta di aspergillus del riso (una muffa che aiuta la fermentazione). È un condimento di base in molte cucine asiatiche, ora comune in tutto il mondo come alternativa al sale che aggiunge anche sapidità.
Salsa olandese
Emulsione di tuorlo d’uovo e burro chiarificato con limone, sale e pepe. Accompagna piatti di mare, uova e verdure (complemento ideale per gli asparagi).
Salsa rosa (o salsa cocktail)
Un mix molto ben riuscito di maionese e ketchup, con aggiunte di senape, yogurt, panna e salsa Worcestershire. È l’ingrediente di fondo del cocktail di gamberetti.
Salsa tartara
Salsa bianca densa di maionese con aggiunte di cetrioli tritati, capperi ed erba cipollina, usata di solito sui piatti di pesce.
Salsa tonnata
Antipasto tipico del Piemonte e della Lombardia, aggiunge alla base della maionese il tonno sott’olio e i capperi.
Salsa vellutata
Una salsa di base ottenuta dall’unione di un liquido caldo (acqua, vino, brodo, fondi di cottura...) con un roux di farina e burro. Da questa base derivano le creme di verdure e di legumi che prendono il nome di “vellutate”.
Salsa Worcestershire
Nata da un errore nel riprodurre una salsa indiana in Inghilterra, combina cipolla, aglio, scalogno, acciughe, aceto, chiodi di garofano, tamarindo, peperoncino e zucchero di canna. È adatta per sughi, minestre e cocktail.
Tsatsiki (tarator)
Salsa a base di yogurt, cetrioli tritati, aglio, sale e olio d’oliva, talvolta con aggiunta di erbe quali aneto e menta, tipica dei paesi dei Balcani meridionali. Si usa come antipasto o primo piatto, accompagnato dal pane, ed è spesso aggiunta a spiedi e grigliate. La variante bulgara detta tarator è più liquida, e si consuma come zuppa.
Vinaigrette
Emulsione salata di due terzi di olio e un terzo di aceto, con eventuali aggiunte di vino, pepe o altri aromi. Quando al posto dell’aceto si usa il succo di limone, l’emulsione si chiama citronette.
Wasabi
Pasta di rafano giapponese macinato, è la variante orientale del cren di rafano, con effetti piccanti leggermente superiori.
Il burro in cucina
Il burro riesce ad aggiungere ai cibi un sapore cremoso, leggermente reminiscente della nocciola, e ha una forte presenza nelle cucine di molti paesi. Il suo equivalente vegetale, la margarina, può sostituirlo nei casi di preparazioni culinarie senza latticini, ma non riesce a dare lo stesso aroma.
Il burro può essere usato come mezzo di cottura di qualità, come nel sauté (rosolatura), dove accompagna ed esalta i sapori naturali. È utilizzato come base per molte salse, dove aggiunge una consistenza liscia e cremosa. È anche ideale se combinato con certe erbe, sia a freddo (per esempio, miscela di burro al basilico) sia a caldo (salsa di burro e salvia).
In cucina si raccomanda se possibile l’uso del burro non salato. L'unica ragione per cui il sale è aggiunto alla maggior parte dei tipi di burro in commercio è quella di preservare la loro durata, ma per chi usa il burro con frequenza questo non dovrebbe essere un problema. Utilizzare burro non salato assicura di non eccedere con la salatura, ed è particolarmente importante per panificazione e cottura al forno, dove un livello alto di sale può far indurire le croste.
L'unico inconveniente con l'utilizzo di burro come mezzo di cottura è che ha un punto di fumo inferiore a quello degli altri grassi come l’olio (è di circa 130° C), e quindi è difficile da usare a temperature elevate. Per questo motivo, si preferisce a volte il burro chiarificato, ovvero la parte pura del grasso del burro da cui sono stati rimossi l’acqua e i solidi del latte, che sono quelli che portano il burro non chiarificato a fumare.
Per chi non ha burro chiarificato a disposizione, un altro accorgimento è aggiungere al burro un altro grasso (come un olio dall’elevato punto di fumo), che lo farà resistere a temperature più alte.
Le combinazioni di aromi
Come si può facilmente prevedere, erbe e spezie hanno effetti diversi combinandosi con diversi ingredienti di cucina. Ci sono milioni di combinazioni possibili, e spesso si incontrano gusti che si accoppiano in modo molto felice, da quelli conosciuti da tutti (come pomodoro e basilico) a quelli meno noti (come melanzana e maggiorana). Spesso una piccola variante di erba o spezia può avere effetti totalmente diversi sullo stesso cibo di base: per esempio, il cioccolato si sposa ottimamente con la menta piperita, mentre crea un contrasto stridente con la menta romana. Al contrario, la stessa erba può avere effetti radicalmente diversi su cibi differenti: il dragoncello è un’erba di successo sui funghi, ma un disastro sulle ostriche.
Alcune combinazioni insolite di gusti e aromi possono creare contrasti estremi di sapori... che tuttavia funzionano. A volte si comprendono a partire dalle relazioni tra i gusti (per esempio, il cioccolato nero si sposa bene con il sale, che gli toglie l’amaro; il mango ha un’insolita associazione con il peperoncino di Cayenna e il sale, creando un equilibrio tra agrodolce, piccante e salato), altri si spiegano con il contributo arricchente di certi grassi (il gelato al cioccolato si sposa bene con l’olio d’oliva).
Non abbiamo fatto lunghe liste, sia perché si trovano sempre nuove combinazioni, sia perché la maggior parte di questi strani connubi rimarrà come una serie di curiosità alimentari, senza affermarsi nelle tradizioni culinarie. Tuttavia, possiamo familiarizzarci con questi abbinamenti, cercando di studiare, a partire dalle caratteristiche dei gusti di base degli ingredienti, le ragioni del loro successo.
Il senso del gusto e l’età
Eccoci giunti a considerare una triste verità: come per gli altri sensi, quando invecchiamo anche il nostro senso del gusto (e le sensazioni olfattive degli aromi che accompagnano il gusto) ha una tendenza ad affievolirsi. I ricettori del gusto diventano un po’ meno densi, e facciamo un po’ più fatica a provare gli stessi sapori. Ovviamente, il processo non è uguale per tutti (così come per gli altri sensi, come possono testimoniare quegli anziani che mantengono una vista e/o un udito molto acuti), e non è così drastico da farci perdere la percezione dei sapori; tuttavia, una educazione culinaria all’uso del gusto e dell’olfatto ci mette in grado di percepire i sapori anche a concentrazioni più basse, e se con l’avanzare degli anni sperimentiamo una diminuzione di un gusto e di un olfatto bene addestrati, ci basterà aumentare appena un poco le dosi di elementi che aggiungono sapore, e almeno sotto questo aspetto, invecchiare non ci farà più paura.
Disclaimer
Poiché questi dati sono stati presentati da un monaco ortodosso, che per regola monastica è tenuto a non mangiare carne (e anche se non è obbligato a non cucinarla, tuttavia preferisce non farlo, perché questo comporterebbe la necessità di continui assaggi), tutto quello che è stato presentato finora non prende volutamente in considerazione la carne.
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